Dalla prestigiosa laurea in Documentary
Photography a Newport (Galles), passando per i primi lavori in Inghilterra, per
poi trasferirsi in Italia nel 2002. Questo è il percorso del
fotografo inglese Colin Dutton, la
cui esperienza e lavoro evidenziano e sottolineano un continuo cambiamento ed
una continua evoluzione nella tecnica e nello stile.
Quante volte abbiamo posato lo sguardo su
una fotografia a noi cara? Cara perché racchiude un
frammento di vita bloccandolo per sempre, un ricordo che diventa indissolubile,
indelebile. Cara perché ci regala un’emozione.
Ed è forse questo il
segreto di Colin, saper trasmettere emozioni attraverso le sue fotografie,
anche quando i soggetti sono oggetti inanimati, ma che attraverso i suoi scatti
sembrano quasi prendere vita. L’incontro con lui è stato un mix di
parole e immagini che proveremo insieme a raccontarvi.
Vukovar, 2001, per la BBC |
gdl Avrei voglia di partire con una
domanda apparentemente banale, ma che a mio avviso non lo è. Che cos'è la fotografia? Cosa cattura uno scatto?
CD Hai ragione, non è
affatto banale. Sono andato a una
conferenza qualche settimana fa in cui Angelo Schwarz stava lottando per
rispondere alla stessa domanda. Dopo un'ora e mezza è
arrivato alla conclusione che 'la
fotografia è un
rapporto tra me e la realtà' e penso che sia davvero una bella definizione.
Naturalmente, quando si parla di
fotografia bisogna chiarire se stiamo parlando dell'atto o dell’oggetto, della
realizzazione o della lettura. È abbastanza facile definire il processo fisico
della fotografia: catturare luce su un materiale sensibile e fissarla come
immagine sulla pagina o sullo schermo. E’ molto più difficile definire
il linguaggio della fotografia e il modo in cui viene consumato. Queste cose
dipendono dal contesto in cui la foto è stata creata e il
contesto in cui essa si presenta. Il senso di una fotografia è
influenzato dalle esperienze e dai riferimenti
culturali del fotografo e anche del pubblico che la guarda. E’
un pesce scivoloso che non è
facile tenere fermo! Ecco perché
mi piace l'idea di definirla ‘un rapporto tra me
e la realtà'. Funziona sia per
quando faccio una foto che quando guardo una foto. E come qualsiasi rapporto è
in continua evoluzione.
Sono contento anche della parola 'realtà' in questa
definizione. Con la tecnologia digitale è facile fare un
passo oltre la realtà e presentare
qualcosa che non c’era. Nel mondo dell'arte fotografica in questi
anni c'è un movimento verso un 'Nuovo Formalismo'
in cui non sei sicuro di ciò che stai guardando
e l'atto stesso della fotografia diventa la sua raison d’être. Qui le cose si fanno ancora più
scivolose e si può
discutere di quanto è
‘vera’
qualunque fotografia. Per me,
personalmente, nel punto in cui la realtà non fa più
parte del rapporto, allora stiamo
parlando di illustrazione e non di fotografia.
Foto per Progeo Rehateam |
gdl Dopo i tuoi primi lavori per riviste
e giornali ti sei specializzato nella fotografia di interni, food e
pubblicitaria. Quale è stata
l’evoluzione
del tuo lavoro?
CD Quando mi sono trasferito in Italia è
stato difficile continuare a produrre il
genere di social documentary che mi piaceva. Per sopravvivere ho fatto
un giro delle riviste di viaggio a Milano, tipo Dove e Meridiani,
e mi hanno commissionato per fare servizi fotografici di viaggio. L'ho fatto
per alcuni anni in una sorta di rapporto amore-odio. Il grande cambiamento è
avvenuto intorno al 2007 quando le
macchine fotografiche digitali sono arrivate a un prezzo e a una
qualità che ha messo nelle mani di tutti la
possibilità di produrre immagini
"accettabili". Questo ha creato un mercato di micro-stock e le
riviste sono stati felici di acquistare foto a un basso prezzo, anche se la
qualità e il contenuto non erano quelli di prima.
Allo stesso tempo le riviste hanno subito un taglio nei loro redditi perché
tutto si stava
spostando verso l’internet. La situazione non era sostenibile così
ho deciso di cambiare e concentrarmi sui
campi che richiedevano un livello di specializzazione più elevato.
Fotografare gli interni è qualcosa che ho
spesso affrontato nei miei progetti documentari quindi diventare un fotografo
di interni è stata una progressione piuttosto
naturale. Ho deciso di investire in attrezzatura e di migliorare la mia tecnica
con la luce. Questo controllo della luce è stato molto
importante perché mi ha dato la
fiducia necessaria per produrre immagini in qualunque situazione ... sia per
interni, food, pubblicità o ritratti .. e in
qualsiasi luogo. Questo è probabilmente ciò
che mi distingue un po' oggi, il fatto
che lavoro esclusivamente on-location, e non in studio. Trovo più
soddisfazione nel creare un'atmosfera o
rispondere a ciò che c’è, ovunque mi trovo. E’ quello che ho
sempre fatto, solo che adesso lo faccio con un maggiore controllo.
Foto per Lazzarini e Geneva Lab (Styling Laura Pozzi) |
gdl Mi piacerebbe approfondire il tema
della fotografia di architettura. In una recente intervista* sul tema del
comunicare l’architettura, Luciana Ravanel rispondendo ad una
domanda sul ruolo della fotografia risponde “Le fotografie
devono essere comunicanti, pensate mettendosi nei panni del committente. Per
essere chiari: le foto ‘artistiche’ spesso non sono di
interesse per la stampa e offrono interpretazioni soggettive e parziali del
progetto..”.
Pensando alla fotografia di interni, di
design, di architettura siamo abituati alla foto “bella”, alla foto
tecnicamente impeccabile, la foto da copertina patinata. Ritengo che
altrettanta attenzione ed importanza dovrebbero ricadere sulla fotografia che
descriva il dettaglio, che ne racconti la storia, che spieghi la sua
progettazione e realizzazione.
(*intervista
apparsa su L’architetto 23 – gennaio 2015 di
Paola Pierotti)
CD Sì, sono d’accordo. Ma bisogna capire cosa intende Luciana
Ravanel per foto 'artistiche'. Immagino che ha avuto una brutta esperienza con
un certo tipo di immagine o un certo tipo di fotografo che lei definisce
artistico: forse si riferisce a fotografie che sono visivamente forti, ma che
non aiutano a descrivere l’edificio, i suoi spazi e la sua struttura. In
quel caso il servizio sarebbe di scarsa utilità per una rivista che
voleva pubblicare il progetto e Ravanel avrebbe ragione. Ma non credo che lei
stia facendo un appello per un approccio puramente oggettivo. Se vedi un po’
più avanti
nell'intervista dice che i fotografi più apprezzati sono
quelli che “riescono
a scegliere l'angolo giusto, valorizzare la luce, cogliere quell'essenza che è importante
comunicare agli interlocutori”. Per me queste sono tutte interpretazioni
soggettive! Credo che, alla fine, ciò che ci vuole per
comunicare l’architettura, o
qualsiasi soggetto, è
una combinazione del tecnico e
dell’emotivo. Cerco di fare questo nel mio lavoro anche se non
mi considero un fotografo di architettura tradizionale. Se c’è
qualcosa che porto dal mio background documentary è la capacità
di creare immagini tranquille e pensate.
Immagini che rivelano qualcosa dell’essenza o dell'utilizzo di uno spazio attraverso
particolari dettagli. Allo stesso tempo, sono consapevole delle esigenze del
cliente e l’importanza di
creare immagini che possano servire al loro scopo. Se un fotografo prende un
approccio tecnico ma freddo, o un approccio artistico ma puramente emotivo, in
entrambi i casi la comunicazione soffre. L'ideale consiste in una combinazione
dei due.
gdl Guardando il tuo lavoro mi sembra di percepire una dualità nel tuo operare: da una parte la
fotografia per i clienti, la fotografia diciamo così per lavoro, dall’altra la
sperimentazione e la ricerca. Come convivono e come si sviluppano questi due
aspetti?
CD Sì, c'è questa dualità, come dici tu. La
sfida per me è nel permettere ai due lati della mia
fotografia di coesistere, senza che uno comprometta o faccia passare in secondo
piano l'altro. Ci sono momenti durante l'anno in cui sono abbastanza tranquillo
per permettermi di lavorare su progetti personali. Ci sono altri periodi in cui
sono impegnato con il lavoro ‘commerciale’ e non ho spazio per nient'altro. Quello che
vorrei, idealmente, è una graduale
convergenza di lavoro commerciale e di lavoro personale fino a quando non è
più possibile
distinguere tra i due.
Parlo spesso con fotografi professionisti
che non hanno alcun interesse a sviluppare progetti personali. Fanno fatica a
capire perché voglio investire tempo e denaro in
qualcosa che non ha un obiettivo chiaro e non ha un cliente che paga. Ognuno è
diverso, naturalmente, quindi credo che
sia una questione di che cosa ti motiva. Non ho scelto di fare questo mestiere
perché avevo una passione per fotografare bagni
di alberghi o piatti di pasta! Per quanto io ami il mio lavoro, non sempre mi dà
quella soddisfazione creativa o
intellettuale che chiedo dalla fotografia ed è per questo che i
progetti personali sono così importanti per me.
Mi consentono anche di sperimentare, di pensare, e di sviluppare tecniche che
infine saranno utili nel lavoro commerciale. E forse la cosa più
importante è che questi progetti
aprono le porte verso nuove opportunità .. la pubblicazione
di un libro, una mostra a Parigi, essere intervistato per articoli come questo
.. sono tutte cose che sono successe grazie ai progetti personali. E’ un modo per
crescere professionalmente e di andare oltre i confini di un particolare
settore o di un particolare contesto.
Zion, 2010 e Insulae, 2014 |
gdl C’è un progetto su tutti, a mio avviso, che
evidenzia il tuo riuscire a trasmettere emozioni attraverso la fotografia. Si
tratta di GFT, un progetto che documenta spazi di lavoro e attrezzature,
pertanto oggetti inanimati per eccellenza e con l’aggravante dell’abbandono. Eppure
sembra che in questi scatti gli oggetti vogliano raccontarci qualcosa della
loro storia, delle persone che li hanno vissuti ed utilizzati. Sembra vogliano
comunicarci delle emozioni.
CD A volte presento workshop sul
Storytelling e dopo la prima lezione chiedo agli studenti di fotografare un
semplice oggetto. Basta che abbia un significato personale per loro. Spesso,
per gli studenti, è il primo passo nel rendersi conto che la
fotografia può andare al di là
della bellezza, che può
avere un contenuto, che può
comunicare un'idea.
La mia serie GFT è un buon esempio di
questo, come gli oggetti possono contenere una sorta di storia al loro interno
e rivelare qualcosa sulle persone che li hanno utilizzati. GFT fa parte
di un progetto più ampio che riguarda
gli spazi e gli strumenti legati alle professioni che hanno vissuto un
passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale in questi ultimi anni.
Spazi e metodi di lavoro che sono diventati obsoleti. La cosa sorprendente è
la velocità in cui questo
cambiamento ha avuto luogo. Si tratta di non più di dieci anni
forse, ma sembra di guardare oggetti in un museo. E’
interessante vedere come le cose erano più
tattili. Mi piace vedere i segni di
utilizzo, gli oggetti riparati e non buttati via, e come gli strumenti e i
documenti sono stati tenuti e archiviati. E’ un progetto che vorrei continuare, quindi se
qualcuno conosce un lavoro interessante, degli strumenti o un archivio .. forse
di un designer, un architetto o qualsiasi professione che ha vissuto questo
cambiamento .. potrebbe gentilmente contattarmi!
GFT, 2013 |
gdl Tra i tuoi ultimi progetti non
possiamo non citare Generation Project, il racconto dell’energia e dei
talenti di 25 creativi della provincia di Treviso. Da dove nasce questa idea?
CD L'idea del Generation Project mi è
venuta un paio di anni fa. Il progetto è cominciato come
una serie di ritratti di giovani creativi che lavorano nella zona di Treviso.
Ero consapevole dell’esistenza di un’incredibile risorsa di talento creativo, ma allo
stesso tempo c'era questa depressione generale per la situazione economica che
stava rendendo le cose difficili. Volevo proporre qualcosa di positivo, per
offrire una vetrina ai creativi locali e per mostrare che è
possibile lavorare ad un alto livello qui
senza doversi spostare a Milano o a Londra. I 25 creativi sono stati scelti
abbastanza organicamente attraverso una combinazione di ricerca, di contatti e
di passaparola. Non è una selezione rappresentativa e non ha la
pretesa di presentare ‘i migliori’ (anche se alcuni dei migliori ci sono). E’
solo una fetta della torta. Quello che
collega tutti è
una certa positività insieme con un
vero e proprio (non immaginato) talento. Abbiamo avuto una mostra presso lo
Spazio Paraggi a Treviso in cui ogni creativo ha presentato il suo lavoro a
fianco dei ritratti che avevo fatto. Ora stiamo pensando come portare avanti il
progetto. Ho creato un sito web (http://www.generationproject.it) e qualsiasi
giovane (più o meno giovane) creativo in provincia di
Treviso può proporsi al
progetto. Se ci piace quello che fai possiamo darti una pagina per presentare
te e il tuo lavoro. Sto anche pensando di creare un premio Generation
che riconosca il cliente invece del creativo. Cioè un premio per le aziende che hanno dato fiducia
nell’investire e nel
collaborare in progetti di design o comunicazione. Penso che potrebbe essere
interessante.
Generation Project, 2014 |
gdl Dove sta puntando ora l’obiettivo di Colin?
Quali sono i tuoi progetti futuri?
CD In questo periodo sto lavorando un
progetto sul fiume Piave. Mi sono dato la sfida di fotografare tutti i ponti
lungo il corso del fiume, da Jesolo a Sappada. Ce ne sono cinquanta in totale,
più o meno. Se riesco a trovare uno sponsor
spero di avere il progetto pubblicato in un libro verso la fine dell'anno. I
ponti mi interessano in termini del rapporto con il loro ambiente e come
cambiano strutturalmente. Ma ancora più importante è
che mi offrono (e ci offrono) un pretesto
per esplorare il paesaggio intorno a loro. Al fine di arrivare a un punto di
osservazione per ogni ponte sono spesso attratto, o costretto, ad andare in
luoghi che non avrei mai pensato di esplorare. Questi sono i luoghi che mi
intrigano, come il fiume stesso mi intriga. E 'un fiume carico di storia,
ovviamente, ma è anche interessante come cambia così
drammaticamente lungo il suo percorso e
come l'effetto delle variazioni dei livelli di acqua può
essere visto lungo i suoi margini,
creando un’atmosfera che trovo
sempre affascinante e sempre un po’ inquietante.
Lavorando su un progetto del genere mi
interessa l'idea del così detto ‘response to place’.. l'adozione di un
certo stato d'animo, una sorta di sensibilità, che consente di assorbire e rispondere
visivamente a ciò che è
intorno a te. E’
piuttosto meditativo. Cerco di tenere in
mente un paio di parole chiave o un concetto per mantenere le cose mirate, poi è solo una questione
di osservare e di rispondere a quello che vedi. E quello, alla fine, è
la fotografia!
Plavis, 2015 |
gdl Grazie delle emozioni Colin,
attraverso le parole ed attraverso le immagini.
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