sabato 14 novembre 2020

La mia vacanza Covid19

Alla faccia di chi la fa semplice e chi nega.

Ho voluto scrivere questa mia esperienza relativa alla malattia Covid19 nella speranza possa essere di aiuto e riflessione su vari aspetti quali i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti, il lavoro di chi quotidianamente in silenzio lavora contro questa pandemia che ha cambiato le nostre abitudini e le nostre vite.

E così alla fine è arrivato qui, il maledetto Covid19.
In maniera subdola è entrato in ufficio colpendo prima un collega, positivo e con sintomi lievi. E già in quel momento iniziano i pensieri, le preoccupazioni, il pensiero di tenersi controllati, il tampone. 

Poi dopo qualche giorno i sintomi arrivano anche qui, più o meno lievi, subdoli. Febbre, brividi, tosse, naso che cola. E mentre prendi una bella Tachipirina pensi "va beh dai, è poco più di una normale influenza". E via in fila per il primo tampone, l'attesa del risultato, dopo poche ore: positivo. E via la verifica con il secondo, il molecolare, di nuovo positivo.

Nel frattempo ti isoli in una stanza, tutto il giorno a letto perché altro non puoi fare. Ti salva qualche messaggio sul telefono e qualche video sul computer perché il tempo non passa mai. Fuori anche la tua famiglia è in quarantena con tutte le difficoltà del caso. Mangiare separati, rifiuti separati, igienizzare ogni volta che si va in bagno, insomma non proprio una passeggiata per chi come noi vive in un normalissimo appartamento.
Nel frattempo ti senti con gli altri colleghi manifestano sintomi, verificano con il tampone, isolano le famiglie. Ci si tiene costantemente aggiornati perché la cosa ha coinvolto tutti noi ma anche le nostre famiglie.

I giorni seguenti la situazione fisica migliora, la febbre cala, e pensi "oramai ne siamo fuori, visto?".
Così riposi, riprendi energie, inizia a fare qualcosina. 
Poi la febbre torna, sale, rimane e diventa persistente. Anche la tosse diventa più presente e il respiro vagamente più difficile. E la situazione piano piano, in maniera quasi impercettibile, nonostante i farmaci peggiora, ma quasi non te ne accorgi. Fino a quando dopo una settimana dai primi sintomi, il respiro diventa più affannoso e allora con il medico decidi che forse è il caso di approfondire e fare un controllo al pronto soccorso di Montebelluna. 

Arrivi e subito vieni messo in isolamento e bombardato di mille domande, test e analisi per verificare il tutto. E alla fine dopo un po' di ore la diagnosi: insufficienza respiratoria in paziente Covid positivo SARS-coronavirus associato. La dottoressa del pronto soccorso lo annuncia, "Giorgio non vediamo nulla di grave ma hai bisogno di ossigeno, non tanto. Ti dobbiamo ricoverare ma qui siamo pieni e non abbiamo più posti letto, quindi ti trasferiamo a Vittorio Veneto".

Poco dopo il trasferimento in ambulanza a sirene spiegate per evitare il traffico e le strutture hanno la necessità di accelerare i tempi visto che i trasporti saranno numerosi. L'operatore che ci accompagna è un compaesano e questo rende il viaggio meno pesante, si chiacchiera e ci si distrae. 
Alla fine arriviamo all'Ospedale di Vittorio Veneto ed entro nel reparto di medicina dove ci sono, fortunatamente, i casi meno gravi. Da qui parte la somministrazione dell'ossigeno, una nuova serie di esami e accertamenti.
Dalla notte la respirazione diventa più difficoltosa, la febbre si fa sentire, i brividi fanno vibrare il corpo ed il letto. Il giorno dopo la situazione piano piano peggiora, aumentano la somministrazione di ossigeno, raggi e TAC per verificare la situazione. E arriva persino il momento dove gli occhialini dell'ossigeno ne forniscono molto, impossibile non respirare. Eppure la sensazione è quella di non riuscire a trovare più il ritmo del respiro, l'aria non entra nei polmoni, non scende, e sembra di soffocare di non fare più un atto naturale e involontario quale il respiro. Pochi metri per andare in bagno diventano uno sforzo da maratoneta.

E alla fine arriva un medico "Giorgio ho visto la tua TAC e preferiamo portarti sopra in pneumologia per seguirti meglio. Così se hai bisogno di ossigeno in maniera diversa riusciamo a essere pronti". E così entri in terapia semi intensiva.

Qui cambiano strategia, l'ossigeno aumenta e di molto e rimane la stessa sensazione di non saper più respirare, di non riuscire ad avere aria. Il monitor controlla ogni momento il corpo e tutti i parametri essenziali. Non puoi alzarti dal letto perché la saturazione è bassa e non è conveniente. Nel frattempo un bombardamento di farmaci tiene sotto controllo i sintomi e la febbre.

Il tempo diventa interminabile, a guardare il soffitto. Tantissimi scrivono per sapere le condizioni, ma il morale è basso e a tratti la paura si fa sentire e nonostante l'affetto percepito la voglia di rispondere non c'è. Anche la compagnia in stanza è piacevole ma la voglia davvero poca e si fa fatica persino a parlare. 
E passa qualche giorno, ognuno uguale all'altro. Sdraiato in un letto di ospedale senza mai alzarti, nemmeno per lavarsi e nemmeno per fare i propri bisogni. Mettersi seduto per i pasti diventa un'azione quasi impossibile.

Dopo qualche giorno finalmente si inizia a migliorare ma l'ossigeno è onnipresente i farmaci non calano, e capisci che la strada è quella giusta ma sarà ancora lunga. Però ogni giorno un pochino migliora, l'aria sembra ritrovare la strada nei polmoni, il respiro sembra tornare lentamente alla normalità. E allora anche i pensieri e le paure iniziano a distendersi e farsi meno pressanti. Si inizia anche a chiacchierare con il compagno di stanza che oramai è in via di guarigione, con le infermieri e i medici, angeli custodi della nostra salute. E tra le chiacchiere scattano anche conoscenze in comune, e scopri come è piccolo il mondo e torna anche la consueta voglia di ridere e scherzare. 

Dopo una settimana il primo compagno viene dimesso e arriva un nuovo compagno. Nel frattempo l'ossigeno è aumentato ulteriormente, e qualche sintomo si fa ancora sentire, mentre altri iniziano ad affievolirsi, tipo la febbre. Piano piano i giorni seguenti iniziano a diminuire l'ossigeno perché siamo sulla buona strada e a poco a poco anche il monitor viene spento perché non c'è più l'esigenza di verificare i parametri in maniera costante.
Piano piano anche il respiro migliora, la voce torna, la voglia di parlare non manca, anche l'appetito si fa risentire. E allora è il momento di incoraggiare anche il nuovo compagno di stanza, di interagire con le infermiere. 
Le azioni normali della quotidianità che sembravano essere diventate impossibili piano piano iniziano a tornare possibili: mangiare, mettersi in piedi nonostante il tono muscolare sia diminuito vistosamente, lavarsi autonomamente, raggiungere il bagno.

E giorno dopo giorno, senti le forze tornare e riprendersi il loro spazio anche se la stanchezza è davvero molta e serve riposare e non esagerare. E alla fine arriva, il momento in cui ti dicono "Giorgio oggi proviamo a togliere l'ossigeno" e inizi a respirare l'aria dell'ambiente e l'aria torna a riempire i polmoni, il respiro sembra sempre più normale. Da quel momento è il momento della rinascita, ogni momento sembra migliorare qualcosa e ti sembra di uscire da quell'incubo che ha infuso così tanta paura alla tua mente e al tuo corpo mandandolo in completa confusione. La situazione migliora nettamente giorno dopo giorno, e si avvicina il momento di uscire dopo tutti gli esami di routine e qualche accertamento che i medici hanno voluto esaminare. Manca l'ultimo passaggio il tampone che ci fa attendere ancora qualche giorno: negativo. Per la situazione a casa, gli spazi limitati, la presenza della famiglia negativa e di una bimba, i medici preferiscono una qualche garanzia in più e si decide di effettuare un secondo tampone e i tempi si allungano ancora un po'. Una giornata interminabile di attesa e alla fine arriva l'esito: negativo. E allora le dimissioni paventate già da qualche giorno diventano realtà. Si rientra a casa. Agli affetti e al calore familiare che mancava oramai da tre lunghissime settimane. 
Ci sarà una cura da seguire per settimane e c'è ancora davvero tanta stanchezza, ma oramai ne siamo fuori. Ora ci dedicheremo del tempo per un po' di relax e per il recupero.

L'esperienza Covid19 volge al termine dopo tre intere settimane, due delle quali passate in ospedale.
Sembrerà strano ma a questo Covid19 devo dire GRAZIE, nonostante l'esperienza dura e difficile. 

GRAZIE alle centinaia di persone che si sono fatte sentire con i pensieri, con i messaggi, con le preghiere e che mi hanno dimostrato nel momento del bisogno un affetto smisurato.

GRAZIE ai medici, agli infermieri alle OSS e a tutto il personale dei reparti di medicina e pneumologia dell'Ospedale di Vittorio Veneto (e con loro tutti quelli d'Italia) per l'amore la dedizione, spirito di servizio con cui lavorano e assistono i pazienti. Un lavorio costante e continuo che va ben oltre i meri obblighi professionali.

GRAZIE alla possibilità di avere tempo e silenzio che mi hanno permesso di fare bilanci, riflessioni, pensieri e avere prospettive nuove per il futuro e per nuovi progetti.

Grazie Covid19, ma ora vedi di toglierti dai piedi...

E fate attenzione, non succede sempre e solo agli altri, purtroppo! 

Giorgio De Luca

7 commenti:

  1. grazie per aver condiviso questa brutta esperienza ma che tu,con estremo coraggio, hai deciso di esorcizzare, facendoci vivere questa esperienza davvero anche noi con fiato sospeso. Grazie a te e a tutti quelli che hanno saputo curarti, grazie ai tuoi genitori, alla tua mamma che ha saputo crescerti con tanti valori. Ti auguro una buona lunga vita felice con la tua famiglia

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  2. Grande Giorgio.. Grazie della condivisione di questa realtà. Anche stavolta, sicuramente come altre ha giocato bene determinazione ed anche fortuna.. l'aver superato tutto è stato anche merito del tuo coraggio interiore.. la paura per certi versi è stata innegabilmente umana e certe situazioni riescono a farci capire la vita e i suoi valori. Gli amici, quelli ci sono stati e ci saranno sempre! Un abbraccio e buona ripresa di tutto !

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  3. Grazie Giorgio. Ho letto le tue parole tutte d’un fiato ed ho sentito i brividi lungo la schiena. Io fortunata non ho avuto il Covid ma sono una paziente oncologica e capisco benissimo la sensazione di ritrovarti in un reparto come la terapia semi-intensiva e la terapia intensiva. Hai descritto in modo lucidissimo la tua esperienza ed hai usato parole toccanti secondo me. Abbiamo bisogno di questi racconti perché non capiamo quello che sta accadendo a a volte non sappiamo bene cosa pensare. Sei stato coraggioso e non smetterò mai di esserti grata per avere raccontato quello che hai passato. Spesso discuto animatamente con molte persone che sostengono che il
    Covid non esista o che sia una banale influenza. Un abbraccio e ti auguro di riprenderti al massimo. Sono felice che tu ne sia uscito! 💪💪💪

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  4. Forza Giorgio il brutto è passato,un in bocca al lupo per una pronta guarigione😘💪💪💪

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  5. Giorgio,
    leggerti è stato per me come ricevere un pugno nello stomaco.
    Sei da poco tempo "uno dei nostri" e mai avrei potuto immaginare che tu stessi vivendo di persona questo incubo. Se ne parla di continuo in TV ma mai avrei pensato che il Covid avesse colpito "uno dei nostri", altrimenti anche io avrei fatto parte di quelle centinaia di persone che si sono interessate del tuo stato di salute.
    Rimettiti, guadagna nuovamente le forze e lo spirito e torna ad essere attivo sulle tue amate montagne, magari perché no, ancora dall' Osservatorio Del Re sul Col Del Montello .....
    Roberto.

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  6. Ciao Giorgio, ho appena letto della tua brutta esperienza con il covid. Spero tanto che ti riprendi alla grande perché voglio sentirti ancora in radio, come quel tardo pomeriggio del 30/09/2020 quando ho risposto alla tua chiamata mentre eri in cima all'Osservatorio del Re sul Montello.
    73 de IU3NEU Gerardo

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  7. Anche rileggendolo successivamente non cambiano le emozioni, miste tra gioia e paura e percettibili proprio come allora ...

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