L’architetto Guido Pietropoli, già assistente di Carlo Scarpa, è uno dei più preparati estimatori e conoscitori dell’opera del famoso architetto veneziano.
E’ lui a ricordarci con questo suo scritto, l’esistenza di un ritratto di Carlo Scarpa realizzato niente po’ po’ di meno da Andy Wharol, uno dei più illustri rappresentanti della pop art per Cleto Munari.
Va premesso che gli “scarpiani” sono un’entità poco obiettiva, poco serena nel senso etimologico della parola, cioè poco “secca”; per meglio dire, essi sono carichi di umori. Si tratta di un gruppo di fedelissimi molto cresciuto con il passare degli anni. Per alcuni l’incontro con Scarpa e la sua architettura era stata una sorta di folgorazione sulla via di Damasco; dunque una famiglia tutta particolare fatta di amori e di temibili gelosie perché - è umano - ciascuno viveva nella precisa convinzione di conoscere in esclusiva il segreto del personaggio e ciascuno credeva di saper cogliere nel racconto dell’altro l’imprecisione dei ricordi, i difetti e la goffaggine dell’emulazione.
Tornando al ritratto, non si può negare che l’operazione di Warhol fosse un po’ pesante; probabilmente Munari aveva chiesto per documentarsi un ritratto del nostro e, dato che Carlo Scarpa era venuto a mancare il 28 novembre 1978 e forse i due artisti non si erano mai frequentati, è ragionevole pensare che Munari avesse fatto avere a Warhol delle fotografie del professore e gli avesse raccontato dei momenti conviviali trascorsi con lui a Vicenza. Per altro resto dell’opinione che tutto si sarebbe svolto nella stessa maniera anche con Scarpa vivo perché è noto che l’artista americano operava su materiali già formalizzati e il suo intervento aveva più del rabdomante, del fattucchiere e del mago che dell’artista in senso stretto. Sta di fatto che Andy Warhol prese le mosse da una bella fotografia di Luciano Svegliado, forse fatta ad Asolo, una foto molto serena: Scarpa vestiva un’elegante giacca di cotone a righe bianche e blu, e portava un orologio Movado al taschino; era la stessa foto che Scarpa stesso aveva scelto per presentarsi alla mostra personale del RIBA, a Londra, nel febbraio del 1974. Warhol tagliò la testa, la girò in alto – forse verso la luna – ridisegnò a puro segno le parti deboli del volto, cioè il mento e la nuca, lasciando intatta la bella fronte e mise un retino aureo sugli occhi. Una striscia azzurra raccordava e separava il collo dal petto che era campito da un’area quadrata in rosso, mentre una parte dell’emisfero sinistro del cervello – quello che presiede all'intelligenza figurale – era colorata di color verde salvia: come si può vedere la fisionomia del professore era pur sempre perfettamente riconoscibile.
Ma non furono questi interventi a indisporre gli scarpiani. Tutti, tranne me, giudicarono offensivo il foglio di acetato sovrapposto al ritratto: esso riportava una vistosa incorniciatura di posate, coltelli, forchette, cucchiai; proprio quelli che Cleto Munari stava commercializzando negli Stati Uniti. è noto che Warhol fu artista spregiudicato ma, per quanto cinico nei riguardi del committente che (forse) gli aveva chiesto che apparissero anche le posate nel ritratto del Professore, non credevo che egli le avesse disposte “a cornice” per sfregio nei riguardi di Scarpa. Pensai che si doveva riconoscere a Warhol un istinto barbarico, animalesco, sciamanico di interpretazione della realtà e mi misi a riflettere sui significati che il foglio di plexiglass trascinava con sé nell'opera. Quel ritratto mi ricordò la grande passione di Scarpa per il ben mangiare, la buona cucina e, allo stesso tempo, mi fece tornare alla memoria un brano del Protagora di Platone...
La foto che apparve sulla rivista Domus con il ritratto di Warhol con la cornice di posate che Scarpa aveva disegnato per Cleto Munari.
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