martedì 24 marzo 2015

Franz Falanga chiama a raccolta i creativi sul tema delle invarianti

Abbiamo parlato più volte delle invarianti in architettura, a partire da quelle indicate da Bruno Zevi per passare a quelle elaborate da Franz Falanga.
Ma più volte parlando con l'amico Franz Falanga ci siamo chiesti le invarianti riguardano solo l'architettura?

Ecco allora l'appello nel blog di Franz Falanga a tutti i creativi. Cliccate sul testo qui sotto per leggere la lettera aperta ai creativi.

Questa lettera aperta è destinata a tutti creativi, a qualsiasi categoria essi  appartengano. Vorrei proporre agli amici creativi un progetto che potrebbe dare dei frutti assolutamente eccellenti, nel campo della progettazione dei propri oggetti e nel campo della didattica della progettazione medesima.
 Franz Falanga

giovedì 12 marzo 2015

Il viaggio può anche esser quello che osservi stando fermo. Un viaggio tra architettura, pittura e calligrafia con l'architetto e artista Bruno Gripari.

A volte nel nostro cammino ci troviamo ad incontrare persone nuove, le cui strade si intrecciano con le nostre, in maniera improvvisa.
E questa volta lungo la strada è capitato di incrociare Bruno Gripari, architetto ed artista, da scoprire e riscoprire ogni giorno per le sue qualità e la sua arte che spazia dalla pittura alla calligrafia. Opere ispirate per lo più all’antica arte dell’Asia Centrale e realizzate tra Italia, Francia ed Asia Centrale.
Le sue qualità lo portano a partecipare già in giovane età nel 1976 alla Biennale di Venezia, sezione Architettura, e successivamente a far viaggiare le proprie opere in Europa e Asia Centrale. Bruno Gripari é il primo calligrafo occidentale ad esporre in Mongolia, su invito ufficiale del Ministero della Cultura e dello Zanabazar Fine Arts Museum di Ulaanbaatar, attivando una missione scientifico-artistica in quei territori (2004). Collabora inoltre a meeting ed eventi internazionali di calligrafia e d’arte e con diversi Istituti, Musei e Fondazioni oltre a cooperare con numerosi e qualificati architetti, antropologi, orientalisti, calligrafi, stilisti e compositori.
Io e Bruno viviamo distanti, in paesi diversi, ma a volte le distanze vengono superate, e ci si ritrova estremamente vicini nonostante la lontananza.

gdl Caro Bruno, l’inizio di questo incontro potrebbe partire da lontano. C’era una volta un bambino di sei anni che praticava la calligrafia… La calligrafia è un po’ inusuale come gioco, non credi? Era davvero un gioco o cos’altro?
BG Ricordo, a cinque, sei anni, avevo un cattere timido e solitario; intimorito da tutto, mettevo una barriera fra me e gli altri, ricorrendo all’interiorità. Rimanevo solo, a scrivere con l’acqua, un secchio, dei pennelli, su un suolo di cemento, all’aperto. Che dire di quello scrivere? Non eran certo le lettere del nostro alfabeto latino; piuttosto pittogrammi e ideogrammi, ricordo bene. Questo “esercizio” continuerà per molti anni, sui quaderni di carta, con pennini e calamai, a china nera, tutto materiale che mio padre aveva nel cassetto. Sarà il prodromo di quello che eseguo a tutt’oggi.

Spiegamento di stendardi in sete laccate e oro, 1992-6, sospesi nel Canale del Mis - BL.
foto di Paolo Villatore

gdl Per molti la calligrafia è un arte sconosciuta o quasi. Pensiamo banalmente al saper scrivere bene, in una forma leggibile e gradevole alla vista. Ma non è questa la calligrafia che intendi tu. Ci spieghi il tuo intendere la calligrafia?
BG La calligrafia opera un trasferimento vivo ed animato di uno scritto, un frammento, una lettera, un fonéma, un testo, ed altro, che sia o non codificato, conosciuto, leggibile. Per certi versi trasferisce il vissuto dell’autore (degli autori!), del suo tempo, di quelle culture, appoggiandosi ad un sistema di scrittura che contiene e descrive un mondo assai vasto. Come in altri domini, in questo il calligrafo risponde alla necessità di investire tutti i sensi del lettore: la calligrafia deve toccare, esser musicale, produrre profumi, aver lunghezza d’onda e frequenza. Tutto cio’ attraverso tratto, segno, inclinazione, composizione, forme e dimensioni, proporzioni, colori, movimenti e volume, e molto altro. Affinché uno scritto possa esser ben letto e recepito dalla coscienza del lettore, questo deve generare una atmosfera adatta, e cio’ vien chiamato “campo magnetico” per convenzione. Mi piace pensar alla maniera di un grande saggio, Eugenio Ghersi, che diceva “tutte le manifestazioni dell’universo son racchiuse o descritte da linee curve a spessore variabile....”.

Grande stendardo in sete laccate e oro, cm 400x160, 1996-7 per lo spiegamento di stendardi sulle torri di Monteriggioni-SI, 1997; per San Terenzo-SP, 1998; per altri eventi, fra i quali le esecuzioni della Missa Populi di Giusto Pio e per LE VIE DELl'ORO, 2000.

gdl Ai tempi dell’università hai scelto la facoltà di architettura. È chiaro che si tratta della prosecuzione di un percorso artistico. Cosa ti ha spinto a scegliere questa facoltà e quale è il legame tra questa e le altre discipline artistiche? Quale è il filo che le tiene unite?
BG L’Architettura, ad un certo punto, risultava esser il campo più prossimo al mio carattere. Ma una volta iscritto, lasciati passar molti esami e del tempo, non riuscivo a trovare un senso, o il senso globale del far Architettura. Ero convinto della validità del principio vitruviano (Firmitas, Utilitas, Venustas), ma poi? Ricordo lezioni, esami ed avventure varie, ma anche la lettura (il legger per scoprire l’esperienza umana) era un buon motivo e una sorgente d’ispirazione.  Seguendo un po’ i consigli delle persone a me prossime e l’intuizione personale, mi son avvicinato a quei testi d’esperienza umana che mi legano al mio far arte e in generale all’Architettura dell’Arte, se così si può dire.
E così, di riferimento in riferimento, con una certa fortuna, son arrivato ad un autore (ma non é il solo, é il primo), vivente, che mi interessava molto, a tal punto che, seguendolo ad una conferenza alla quale partecipavo, iniziavo con lui una collaborazione nel dominio dell’Architettura, che mi portava poi a presentar una prima tesi di laurea allo IUAV di Venezia nel 1981, sui “campi magnetici in architettura”.

gdl Fin dai primi tempi hai partecipato a grandi esposizioni e allestimenti, partendo in giovane età già dalla Biennale di Venezia, un bel trampolino di lancio.
BG L’esperienza della Biennale di Venezia del 1976 (prima biennale di Architettura) si situa all’inizio dell’iter di studio, nell’ambito di un corso di Scenografia allo IUAV, dunque di un’altra arte legata all’Architettura. È un’esperienza che condivido con un gruppo di studenti col quale opero, gruppo che mi ha molto formato ed aiutato ad avanzare.  Ci pensi, Giorgio, é lì che abbiam conosciuto Carlo Scarpa, Giuseppe Samonà, Emilio Vedova.

gdl E ora che sei diventato grande come convivono architettura, calligrafia e pittura? Eserciti la professione di architetto o l’arte ti occupa completamente?
BG Uscito fresco dagli studi dello IUAV, ho cominciato ad insegnare nella scuola, continuando con pittura e calligrafia, che sono complementari di Storia dell’Arte e Disegno Professionale. L’architettura resta una passione, anche se mi accorgo che la parte fondamentale del mio fare é d’investire, immaginare, progettare, costruire dei microcosmi (delle architetture) di contestualizzazione, dove le opere si collocano. Così hanno un secondo senso, in un insieme. Progettare dunque dei contenitori-volumi, o recinti, che generino quelle qualità portanti che, investendo il visitatore, gli aprano una via dell’oro, un corridoio/dromos di luce (di chiarezza, di senso, di significato...). Il visitatore (il fruitore) si sentirà il benvenuto in uno spazio protetto, un luogo geografico (o non), felice e ricco, un luogo di pretesto alla visita, un luogo per far cultura, un luogo complice, per trovar sé stessi, altro, altri.

Spiegamento di grandi stendardi in sete laccate e oro sulle torri di Monteriggioni-SI, 1997.
Grazie al team Sportmarket – Cornuda . TV

Spiegamento di grandi stendardi in sete laccate e oro all'interno del recinto sacro dell'Erdene Zuu Khiid,
a Kharkhorin, MNG 2004; durante la Missione scientifico-artistica Mongolia 2004.
Grazie a David Bellatalla, Oyuntegh Norovtseren, Mirko Sernagiotto

gdl Sei riconosciuto come uno dei migliori calligrafi, anche dai maestri orientali. Come è maturato il tuo rapporto con questa disciplina e quali le affinità con l’Asia Centrale?
BG In quella parte dell’Asia Centrale, esser riconosciuto dai calligrafi di Mongolia significa prima di tutto che ti scrivono in calligrafia il titolo su carta col tuo nome “tu appartieni alla terra blu del cielo”, cioè tu appartieni alla loro terra, la Mongolia.
Questo legame che hai con una certa vastità di cui non conosci che la vertigine orizzontale, é come innato. Ogni volta che eseguo sia un rituale calligrafico in pubblico, sia che io lacchi una superficie, tutto cio’ é per me prima di tutto automatico, e mi par d’andar oltre quelle superfici, verso le vastità. Da sempre. Chi viene da una cultura nomadica o antica, credo senta questa azione come medicale, terapeutica, che produce bene, che é armonica e che ristabilisce la salute. Tutte le arti in quei luoghi, per quelle genti, sono considerate principalmente medicina e terapia, e cosi’ le chiamano infatti.
Comunque, non so se sono fra i migliori calligrafi, questo sentimento non mi appartiene, e nemmeno a loro. È sempre con gioia e reverenza che penso a questi colleghi calligrafi, cosi’ anche a tante altre persone che mi hanno permesso di viaggiare verso coloro che mi sostengono. La lista é lunga. Sono io che ringrazio i presenti: un visitatore in studio, un interlocutore come te in Skype, un partecipante ad un rituale all’aperto. Succede che il ringraziamento lo faccio all’inizio, così non abbiamo l’obbligo di far applausi.

Durante la realizzazione dei grandi stendardi in sete laccate e oro per l'evento di Monteriggioni-SI; 1996-7.

gdl Sei sicuramente un cittadino del mondo, che si sposta, viaggia tra Italia, Francia, Asia Centrale e non solo. È ipotizzabile che il viaggio faccia parte del tuo intimo essere? Quanto l’incontro con le altre culture ti offre in termini di crescita culturale ed artistica? E quanto incide sul tuo operare e sulle tue opere?
BG Si, il viaggio, il percorso, la via o le vie dell’oro, alchimie rituali dove si va e si ritorna più volte, come mezzi per accedere ad obiettivi veri, alti, liberi o liberati: obiettivi per l’uomo. Il viaggio può anche esser quello che osservi stando fermo; é il viaggio dell’altro che incontra te e la tua tappa. Tu gli dai il benvenuto, confermi che hai bisogno di lui, quasi tu lo aspettassi. È un momento di mutuo soccorso, come questo che stiamo vivendo noi due ora; ci siamo trasferiti temporaneamente in queste righe. Non mi manca certo l’opportunità di considerare il viaggio come qualcosa di più tecnico, con una logistica, con altri, con legami di comunione ed intenti. Un vero caricabatterie!

Copertina del catalogo "Le vie dell'oro", 2000, Caerano San Marco-TV / Fondazione Villa Benzi-Zecchini.
Grazie a Mirko Sernagiotto


gdl Dopo aver parlato dell’aspetto umano, visto l’aspetto materico e plastico della calligrafia, della pittura e delle tue opere, mi piacerebbe sapere quale è il tuo rapporto con i materiali.
BG Materiale e manufatto (prodotto, oggetto, superficie, ...) son indissociabili. Posso pensar ad uno stendardo come ad una superficie che vive nell’aria, che anima ed é animata, che riflette cielo e terra; un portale di benvenuto, d’invocazione e benevolenza, di presenza e di presentazione del clan, del gruppo, della famiglia. Con queste premesse, quali materiali usare, e come?
Se penso ad una calligrafia, il pensiero va al libro, una struttura fatta di sequenze ordinate; nastri che portano le lettere, le parole, e il testo si dispiega. Anche qui, per i materiali, si apre un altro e vasto mondo...



gdl Hai alle spalle, o per dirla con una metafora, nello zaino, quasi 50 anni di esperienza. Quali strade ti stai preparando a percorrere? Cosa devi mettere ancora nello zaino per continuare il tuo viaggio?
BG Sto attualmente riconsiderando molti elementi. Il sostegno che ho da parte di molti, primo fra tutti l’amico fraterno David Bellatalla, mi porta nel vivo dei riti, che sono i gesti dei miti, dunque la storia e il senso di noi stessi.

gdl Che dire, grazie Bruno. Ci si rincontrerà, in giro per il mondo!

BG Questo di sicuro, pensa che occasione e che fortuna! ...

Ritratto durante l'evento "Maia, stendardi di luce", presso Villa Benzi-Zecchini, Caerano San Marco-TV;
sulle musiche di Bebobestmusic.
Grazie a Mirko Sernagiotto.
foto di Diego Landi

mercoledì 4 marzo 2015

E’ solo questione di osservare e di rispondere a quello che vedi. E quello, alla fine, è la fotografia! Il fotografo Colin Dutton si racconta.

Dalla prestigiosa laurea in Documentary Photography a Newport (Galles), passando per i primi lavori in Inghilterra, per poi trasferirsi in Italia nel 2002. Questo è il percorso del fotografo inglese Colin Dutton, la cui esperienza e lavoro evidenziano e sottolineano un continuo cambiamento ed una continua evoluzione nella tecnica e nello stile.
Quante volte abbiamo posato lo sguardo su una fotografia a noi cara? Cara perché racchiude un frammento di vita bloccandolo per sempre, un ricordo che diventa indissolubile, indelebile. Cara perché ci regala un’emozione.
Ed è forse questo il segreto di Colin, saper trasmettere emozioni attraverso le sue fotografie, anche quando i soggetti sono oggetti inanimati, ma che attraverso i suoi scatti sembrano quasi prendere vita. L’incontro con lui è stato un mix di parole e immagini che proveremo insieme a raccontarvi.

Vukovar, 2001, per la BBC

gdl Avrei voglia di partire con una domanda apparentemente banale, ma che a mio avviso non lo è. Che cos'è la fotografia? Cosa cattura uno scatto?

CD Hai ragione, non è affatto banale. Sono andato a una conferenza qualche settimana fa in cui Angelo Schwarz stava lottando per rispondere alla stessa domanda. Dopo un'ora e mezza è arrivato alla conclusione che 'la fotografia è un rapporto tra me e la realtà' e penso che sia davvero una bella definizione.
Naturalmente, quando si parla di fotografia bisogna chiarire se stiamo parlando dell'atto o dell’oggetto, della realizzazione o della lettura. È abbastanza facile definire il processo fisico della fotografia: catturare luce su un materiale sensibile e fissarla come immagine sulla pagina o sullo schermo. E’ molto più difficile definire il linguaggio della fotografia e il modo in cui viene consumato. Queste cose dipendono dal contesto in cui la foto è stata creata e il contesto in cui essa si presenta. Il senso di una fotografia è influenzato dalle esperienze e dai riferimenti culturali del fotografo e anche del pubblico che la guarda. E’ un pesce scivoloso che non è facile tenere fermo! Ecco perché mi piace l'idea di definirla ‘un rapporto tra me e la realtà'. Funziona sia per quando faccio una foto che quando guardo una foto. E come qualsiasi rapporto è in continua evoluzione.
Sono contento anche della parola 'realtà' in questa definizione. Con la tecnologia digitale è facile fare un passo oltre la realtà e presentare qualcosa che non c’era. Nel mondo dell'arte fotografica in questi anni c'è un movimento verso un 'Nuovo Formalismo' in cui non sei sicuro di ciò che stai guardando e l'atto stesso della fotografia diventa la sua raison d’être. Qui le cose si fanno ancora più scivolose e si può discutere di quanto è ‘vera’ qualunque fotografia. Per me, personalmente, nel punto in cui la realtà non fa più parte del rapporto, allora stiamo parlando di illustrazione e non di fotografia.

Foto per Progeo Rehateam

gdl Dopo i tuoi primi lavori per riviste e giornali ti sei specializzato nella fotografia di interni, food e pubblicitaria. Quale è stata levoluzione del tuo lavoro?

CD Quando mi sono trasferito in Italia è stato difficile continuare a produrre il genere di social documentary che mi piaceva. Per sopravvivere ho fatto un giro delle riviste di viaggio a Milano, tipo Dove e Meridiani, e mi hanno commissionato per fare servizi fotografici di viaggio. L'ho fatto per alcuni anni in una sorta di rapporto amore-odio. Il grande cambiamento è avvenuto intorno al 2007 quando le macchine fotografiche digitali sono arrivate ​​a un prezzo e a una qualità che ha messo nelle mani di tutti la possibilità di produrre immagini "accettabili". Questo ha creato un mercato di micro-stock e le riviste sono stati felici di acquistare foto a un basso prezzo, anche se la qualità e il contenuto non erano quelli di prima. Allo stesso tempo le riviste hanno subito un taglio nei loro redditi perché ​​tutto si stava spostando verso l’internet. La situazione non era sostenibile così ho deciso di cambiare e concentrarmi sui campi che richiedevano un livello di specializzazione più elevato. Fotografare gli interni è qualcosa che ho spesso affrontato nei miei progetti documentari quindi diventare un fotografo di interni è stata una progressione piuttosto naturale. Ho deciso di investire in attrezzatura e di migliorare la mia tecnica con la luce. Questo controllo della luce è stato molto importante perché mi ha dato la fiducia necessaria per produrre immagini in qualunque situazione ... sia per interni, food, pubblicità o ritratti .. e in qualsiasi luogo. Questo è probabilmente ciò che mi distingue un po' oggi, il fatto che lavoro esclusivamente on-location, e non in studio. Trovo più soddisfazione nel creare un'atmosfera o rispondere a ciò che c’è, ovunque mi trovo. E’ quello che ho sempre fatto, solo che adesso lo faccio con un maggiore controllo.

Foto per Lazzarini e Geneva Lab (Styling Laura Pozzi)

gdl Mi piacerebbe approfondire il tema della fotografia di architettura. In una recente intervista* sul tema del comunicare larchitettura, Luciana Ravanel rispondendo ad una domanda sul ruolo della fotografia risponde Le fotografie devono essere comunicanti, pensate mettendosi nei panni del committente. Per essere chiari: le foto artistiche spesso non sono di interesse per la stampa e offrono interpretazioni soggettive e parziali del progetto..”.
Pensando alla fotografia di interni, di design, di architettura siamo abituati alla foto bella, alla foto tecnicamente impeccabile, la foto da copertina patinata. Ritengo che altrettanta attenzione ed importanza dovrebbero ricadere sulla fotografia che descriva il dettaglio, che ne racconti la storia, che spieghi la sua progettazione e realizzazione.
(*intervista apparsa su Larchitetto 23 gennaio 2015 di Paola Pierotti)

CD Sì, sono d’accordo. Ma bisogna capire cosa intende Luciana Ravanel per foto 'artistiche'. Immagino che ha avuto una brutta esperienza con un certo tipo di immagine o un certo tipo di fotografo che lei definisce artistico: forse si riferisce a fotografie che sono visivamente forti, ma che non aiutano a descrivere l’edificio, i suoi spazi e la sua struttura. In quel caso il servizio sarebbe di scarsa utilità per una rivista che voleva pubblicare il progetto e Ravanel avrebbe ragione. Ma non credo che lei stia facendo un appello per un approccio puramente oggettivo. Se vedi un po’ più avanti nell'intervista dice che i fotografi più apprezzati sono quelli che riescono a scegliere l'angolo giusto, valorizzare la luce, cogliere quell'essenza che è importante comunicare agli interlocutori. Per me queste sono tutte interpretazioni soggettive! Credo che, alla fine, ciò che ci vuole per comunicare l’architettura, o qualsiasi soggetto, è una combinazione del tecnico e dell’emotivo. Cerco di fare questo nel mio lavoro anche se non mi considero un fotografo di architettura tradizionale. Se c’è qualcosa che porto dal mio background documentary è la capacità di creare immagini tranquille e pensate. Immagini che rivelano qualcosa dell’essenza o dell'utilizzo di uno spazio attraverso particolari dettagli. Allo stesso tempo, sono consapevole delle esigenze del cliente e l’importanza di creare immagini che possano servire al loro scopo. Se un fotografo prende un approccio tecnico ma freddo, o un approccio artistico ma puramente emotivo, in entrambi i casi la comunicazione soffre. L'ideale consiste in una combinazione dei due.


gdl Guardando il tuo lavoro mi sembra di percepire una dualità nel tuo operare: da una parte la fotografia per i clienti, la fotografia diciamo così per lavoro, dallaltra la sperimentazione e la ricerca. Come convivono e come si sviluppano questi due aspetti?

CD Sì, c'è questa dualità, come dici tu. La sfida per me è nel permettere ai due lati della mia fotografia di coesistere, senza che uno comprometta o faccia passare in secondo piano l'altro. Ci sono momenti durante l'anno in cui sono abbastanza tranquillo per permettermi di lavorare su progetti personali. Ci sono altri periodi in cui sono impegnato con il lavoro ‘commerciale’ e non ho spazio per nient'altro. Quello che vorrei, idealmente, è una graduale convergenza di lavoro commerciale e di lavoro personale fino a quando non è più possibile distinguere tra i due.
Parlo spesso con fotografi professionisti che non hanno alcun interesse a sviluppare progetti personali. Fanno fatica a capire perché voglio investire tempo e denaro in qualcosa che non ha un obiettivo chiaro e non ha un cliente che paga. Ognuno è diverso, naturalmente, quindi credo che sia una questione di che cosa ti motiva. Non ho scelto di fare questo mestiere perché avevo una passione per fotografare bagni di alberghi o piatti di pasta! Per quanto io ami il mio lavoro, non sempre mi dà quella soddisfazione creativa o intellettuale che chiedo dalla fotografia ed è per questo che i progetti personali sono così importanti per me. Mi consentono anche di sperimentare, di pensare, e di sviluppare tecniche che infine saranno utili nel lavoro commerciale. E forse la cosa più importante è che questi progetti aprono le porte verso nuove opportunità .. la pubblicazione di un libro, una mostra a Parigi, essere intervistato per articoli come questo .. sono tutte cose che sono successe grazie ai progetti personali. E’ un modo per crescere professionalmente e di andare oltre i confini di un particolare settore o di un particolare contesto.

Zion, 2010 e Insulae, 2014

gdl C’è un progetto su tutti, a mio avviso, che evidenzia il tuo riuscire a trasmettere emozioni attraverso la fotografia. Si tratta di GFT, un progetto che documenta spazi di lavoro e attrezzature, pertanto oggetti inanimati per eccellenza e con laggravante dellabbandono. Eppure sembra che in questi scatti gli oggetti vogliano raccontarci qualcosa della loro storia, delle persone che li hanno vissuti ed utilizzati. Sembra vogliano comunicarci delle emozioni.

CD A volte presento workshop sul Storytelling e dopo la prima lezione chiedo agli studenti di fotografare un semplice oggetto. Basta che abbia un significato personale per loro. Spesso, per gli studenti, è il primo passo nel rendersi conto che la fotografia può andare al di là della bellezza, che può avere un contenuto, che può comunicare un'idea.
La mia serie GFT è un buon esempio di questo, come gli oggetti possono contenere una sorta di storia al loro interno e rivelare qualcosa sulle persone che li hanno utilizzati. GFT fa parte di un progetto più ampio che riguarda gli spazi e gli strumenti legati alle professioni che hanno vissuto un passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale in questi ultimi anni. Spazi e metodi di lavoro che sono diventati obsoleti. La cosa sorprendente è la velocità in cui questo cambiamento ha avuto luogo. Si tratta di non più di dieci anni forse, ma sembra di guardare oggetti in un museo. E’ interessante vedere come le cose erano più tattili. Mi piace vedere i segni di utilizzo, gli oggetti riparati e non buttati via, e come gli strumenti e i documenti sono stati tenuti e archiviati. E’ un progetto che vorrei continuare, quindi se qualcuno conosce un lavoro interessante, degli strumenti o un archivio .. forse di un designer, un architetto o qualsiasi professione che ha vissuto questo cambiamento .. potrebbe gentilmente contattarmi!

GFT, 2013

gdl Tra i tuoi ultimi progetti non possiamo non citare Generation Project, il racconto dellenergia e dei talenti di 25 creativi della provincia di Treviso. Da dove nasce questa idea?

CD L'idea del Generation Project mi è venuta un paio di anni fa. Il progetto è cominciato come una serie di ritratti di giovani creativi che lavorano nella zona di Treviso. Ero consapevole dell’esistenza di un’incredibile risorsa di talento creativo, ma allo stesso tempo c'era questa depressione generale per la situazione economica che stava rendendo le cose difficili. Volevo proporre qualcosa di positivo, per offrire una vetrina ai creativi locali e per mostrare che è possibile lavorare ad un alto livello qui senza doversi spostare a Milano o a Londra. I 25 creativi sono stati scelti abbastanza organicamente attraverso una combinazione di ricerca, di contatti e di passaparola. Non è una selezione rappresentativa e non ha la pretesa di presentare ‘i migliori’ (anche se alcuni dei migliori ci sono). E’ solo una fetta della torta. Quello che collega tutti è una certa positività insieme con un vero e proprio (non immaginato) talento. Abbiamo avuto una mostra presso lo Spazio Paraggi a Treviso in cui ogni creativo ha presentato il suo lavoro a fianco dei ritratti che avevo fatto. Ora stiamo pensando come portare avanti il progetto. Ho creato un sito web (http://www.generationproject.it) e qualsiasi giovane (più o meno giovane) creativo in provincia di Treviso può proporsi al progetto. Se ci piace quello che fai possiamo darti una pagina per presentare te e il tuo lavoro. Sto anche pensando di creare un premio Generation che riconosca il cliente invece del creativo. Cioè un premio per le aziende che hanno dato fiducia nell’investire e nel collaborare in progetti di design o comunicazione. Penso che potrebbe essere interessante.

Generation Project, 2014

gdl Dove sta puntando ora lobiettivo di Colin? Quali sono i tuoi progetti futuri?

CD In questo periodo sto lavorando un progetto sul fiume Piave. Mi sono dato la sfida di fotografare tutti i ponti lungo il corso del fiume, da Jesolo a Sappada. Ce ne sono cinquanta in totale, più o meno. Se riesco a trovare uno sponsor spero di avere il progetto pubblicato in un libro verso la fine dell'anno. I ponti mi interessano in termini del rapporto con il loro ambiente e come cambiano strutturalmente. Ma ancora più importante è che mi offrono (e ci offrono) un pretesto per esplorare il paesaggio intorno a loro. Al fine di arrivare a un punto di osservazione per ogni ponte sono spesso attratto, o costretto, ad andare in luoghi che non avrei mai pensato di esplorare. Questi sono i luoghi che mi intrigano, come il fiume stesso mi intriga. E 'un fiume carico di storia, ovviamente, ma è anche interessante come cambia così drammaticamente lungo il suo percorso e come l'effetto delle variazioni dei livelli di acqua può essere visto lungo i suoi margini, creando un’atmosfera che trovo sempre affascinante e sempre un po’ inquietante.
Lavorando su un progetto del genere mi interessa l'idea del così detto ‘response to place’.. l'adozione di un certo stato d'animo, una sorta di sensibilità, che consente di assorbire e rispondere visivamente a ciò che è intorno a te. E’ piuttosto meditativo. Cerco di tenere in mente un paio di parole chiave o un concetto per mantenere le cose mirate, poi è solo una questione di osservare e di rispondere a quello che vedi. E quello, alla fine, è la fotografia!

Plavis, 2015

gdl Grazie delle emozioni Colin, attraverso le parole ed attraverso le immagini.

CD Grazie a te invece.




lunedì 2 marzo 2015

Esposizione completa della teoria delle invarianti in architettura. Da Bruno Zevi a Franz Falanga.

Per chi ancora non avesse avuto modo di avvicinarsi al tema delle invarianti in architettura, ecco una ghiotta occasione che ci arriva direttamente dal blog dell'architetto Franz Falanga

La teoria delle invarianti di Falanga segue la precedente individuazione delle invarianti proposta e redatta dall'architetto Bruno Zevi e rintracciabile all'interno dell'esposizione sopra indicata.

l'architetto Bruno Zevi

Obiettivo volutamente provocatorio: fissare una serie di "invarianti" dell'architettura moderna, sulla base dei testi più significativi e paradigmatici.Bruno Zevi - Il linguaggio moderno dell'architettura Guida al codice anticlassico 1973 - Einaudi